“Dei tre cavalli che corrono per Palazzo Marino, Albertini sembra il meno interessato alla gara. Mi ricorda Ribot, che a prima vista nessuno avrebbe dato come vincente, non avendo l’aspetto del grande galoppatore di classe; che quando veniva accompagnato al paddock per essere mostrato al pubblico osannante e girava con gli altri cavalli si vedeva chiaramente che era infastidito da tanto clamore e da tanta attenzione. Ribot appariva quasi neghittoso e mostrava una certa insofferenza per questa esibizione. Poi scendeva sulla pista, correva da par suo, vinceva con tre lunghezze di distanza e se ne andava ancora più seccato di prima tra le acclamazioni della folla” Indro Montanelli (maggio 1997)

“Quest’uomo dall’apparente remissività, persino umile, che mai alzerebbe la voce o pesterebbe il pugno sul tavolo, di un’ingenuità quasi fanciullesca – ricordate quando si mise in mutande alla sfilata di Valentino? – è un duro che si spezza ma non si piega né tanto meno si impiega” Indro Montanelli (aprile 2001)

“Saranno gli elettori a giudicare i politici attraverso libere elezioni e non certo i magistrati” (ITALIAOGGI – 28 Luglio 2025)

Le inchieste della Procura di Milano che hanno messo nel mirino le politiche abitative della giunta di Beppe Sala (in continuità con quelle dei sindaci precedenti da Gabriele Albertini, a Giuliano Pisapia, passando per Letizia Moratti) rilanciano il tema del delicato rapporto tra magistrati e politica. La lettura delle carte della Procura rende evidenti due considerazioni. Non serve essere esperti di diritto o di urbanistica per comprendere come le presunte responsabilità penali attribuite ai soggetti a vario titolo coinvolti nella vicenda (politici, imprenditori, dirigenti comunali) siano evanescenti e impalpabili. Non serve essere residenti a Milano per comprendere come le responsabilità politiche siano invece enormi. Ma quelle, in democrazia, non devono essere i magistrati a giudicarle, bensì i cittadini attraverso il voto.

Milano in questi anni è diventata il fulcro degli investimenti immobiliari in Italia anche grazie a una lettura a maglie larghe delle norme urbanistiche che ha consentito interventi di demo-ricostruzione (abbattimento di strutture pre-esistenti, spesso fatiscenti e in disuso) con consistenti aumenti di volumetria, senza necessità di piani attuativi ma con semplice Scia. Si chiama riqualificazione urbana e il suo fine, se adeguatamente governata, è di sicuro nobile in quanto limita il consumo del suolo offrendo vantaggi sia all’imprenditore privato che realizza gli interventi (aumenti di volumetrie) sia alla collettività perché, di norma, le imprese offrono in cambio interventi di risanamento o housing sociale (studentati, alloggi a canone calmierato) di cui nelle grandi città e a Milano in particolare c’è bisogno come il pane.

Ma la condizione affinché tutto si regga è che in questo delicato contemperamento di opposti interessi i piatti della bilancia restino in equilibrio. A Milano, secondo la Procura, tutto ciò non è accaduto. E la bilancia ha iniziato sempre più a pendere dalla parte delle imprese che hanno tirato su grattacieli al posto di capannoni e palazzi di sette piani nei cortili interni, causando “un danno immediato agli abitanti” privati dei “requisiti igienico sanitari di aria, luce e veduta delle abitazioni”. Insomma, un danno alla comunità. Ed è la comunità che dovrà giudicare. Non il tintinnio di manette dei giudici.

SuReal Estate, Albertini: “Serve una sanatoria per sbloccare i cantieri” (ECONOMY – 23 Luglio 2025)

da sinistra: Gabriele Albertini, già sindaco di Milano e Sergio Luciano, direttore di Economy Group

 

Un discorso appassionato, personale e politico quello di Gabriele Albertini, già sindaco di Milano, intervenuto oggi alla sesta edizione dell’Hub Edilizia Costruzioni & Real Estate, l’evento organizzato da Economy Group che  Accolto con calore dai presenti, Albertini ha raccontato, senza filtri, la sua esperienza da primo cittadino, affrontando in particolare il tema della rigenerazione urbana e del rapporto fra amministrazione pubblica e investimenti privati. “Milano usciva dalla Seconda Guerra Mondiale con 3,5 milioni di metri quadrati di macerie. Io mi sono trovato a gestire un altro tipo di vuoto: aree industriali dismesse, senza più operai, né fabbriche, ma ancora senza città”, ha ricordato. “Non avevamo risorse pubbliche per ricostruire, quindi abbiamo attratto 30 miliardi di capitali privati da tutto il mondo. Io ho fatto il regista, non l’investitore”.

Legalità come condizione per attrarre capitali

Albertini ha rivendicato con orgoglio l’alleanza costruita con la magistratura milanese, in particolare con Francesco Saverio Borrelli, allora capo della Procura, per garantire trasparenza negli appalti pubblici e credibilità nei confronti degli investitori esteri. “Ho chiesto io l’aiuto della magistratura. È nato un gruppo di lavoro che chiamavamo scherzosamente Alibaba, per tenere fuori non 40, ma oltre 600 aziende che si spartivano gli appalti in modo illecito. Questo modello ha anticipato di vent’anni l’Anac di Cantone”.

Un’esperienza che, a suo dire, ha segnato una fase irripetibile della storia recente milanese: 6 miliardi di opere pubbliche e 30 miliardi di investimenti privati, realizzati senza scandali né avvisi di garanzia. “Montanelli mi disse che non sarei mai stato un politico, perché non avevo l’uzzolo del potere. Ma proprio per questo ho avuto più potere di molti altri: ho agito, senza spartire poltrone”.

Il caso San Siro e il rischio immobiliare attuale

Albertini non ha mancato di criticare l’attuale amministrazione comunale sul mancato coraggio di affrontare il dossier stadio di San Siro: “Abbiamo lasciato tutto fermo per sei anni. San Siro non era più utile per le squadre, eppure non si è avuto il coraggio di decidere. Anche lì si potevano attrarre capitali per rigenerare un’area che non è solo villette e consolati, ma anche edilizia popolare in stato di degrado”.

Ha poi espresso preoccupazione per il blocco degli investimenti immobiliari a seguito dell’attuale inchiesta giudiziaria che ha travolto il settore urbanistico milanese: “C’è una procura che chiede l’arresto per un grande immobiliarista e un archistar. Ma così si spaventano i capitali. Ricordiamoci cosa diceva Einaudi: l’investitore ha il cuore da coniglio, le gambe da lepre e la memoria da elefante”.

Albertini, sanatoria e chiarezza nei poteri

Albertini lancia un messaggio forte: “Serve una sanatoria ragionata per sbloccare i cantieri”: le famiglie che hanno acquistato devono essere tutelate, e le imprese non possono fallire per errori o ambiguità normative. Inoltre, occorre ristabilire i confini tra giustizia e amministrazione”: “Non è stato un pm a impormi nulla. Sono stato io a chiedere collaborazione. Ma oggi vedo il rischio opposto: che le procure guidino l’urbanistica”.

Albertini ha difeso anche il sindaco Giuseppe Sala, pur ribadendo di non condividere la sua linea politica: “Quando sento il sindaco dire: ‘Mi accusano di aver favorito i privati e poi la Corte dei Conti dice che li ho penalizzati’, mi chiedo: ma allora mettetevi d’accordo. O ha fatto un favore, o ha fatto un danno. Non possono valere entrambe le cose”.

“Milano ha bisogno di fiducia, non di sospetto”

Con un ultimo affondo, Albertini ha ammonito: “La politica deve ascoltare tutti, ma poi decidere. E soprattutto deve creare fiducia. Perché senza fiducia, nessuno investe. Né in una città, né nel suo futuro. Senza legalità, visione e coraggio, nessuna città cresce.

Gabriele Albertini: “Costruire con onestà? Si può e la mia giunta a Milano l’ha fatto” (ECONOMY – 22 Luglio 2025)

L’ex sindaco di Milano ospite della trasmissione radio “Conti in tasca” condotta da Sergio Luciano, direttore di Economy Group

                                                               GABRIELE ALBERTINI EX SINDACO MILANO

Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano, è stato ospite di “Conti in tasca”, la trasmissione radio condotta da Sergio Luciano, direttore di Economy Group, nel cuore del delicato dibattito sull’attualità milanese, permeata da vicende di inchieste in corso, investimenti bloccati e rischi di frenata per lo sviluppo urbano e immobiliare. Il confronto ha offerto spunti chiave per chi si occupa di impresa, pubblica amministrazione e governance locale.

Albertini, incalzato da Luciano sull’eventualità di una nuova Tangentopoli dopo gli ultimi sviluppi giudiziari milanesi, ha escluso il ritorno a quel clima sistemico di illegalità diffusa, ribadendo la portata storica e strutturale di quegli anni, quando il finanziamento illecito alla politica era la regola trasversalmente tollerata. Oggi, spiega, la corruzione permane ma è fenomeno circoscritto ai singoli, non più sistema: riguarda interessi e responsabilità individuali, non collettive. La corruzione esiste ancora, ma ha natura diversa: non più strutturale e sistemica, bensì legata all’iniziativa del singolo che lucra su fondi pubblici.”

Albertini richiama il principio del garantismo: solo al termine dei processi, e non sulle indiscrezioni, si può parlare di colpevolezza. Lamenta inoltre la prassi della pubblicazione di atti e intercettazioni, che nella percezione pubblica produce una sentenza già in partenza.
Nel racconto di Albertini, i suoi nove anni da sindaco rappresentano un’anomalia positiva: 6 miliardi di euro di investimenti pubblici senza essere mai sfiorato da indagini giudiziarie, in un clima difficile, segnato da un fuoco incrociato sull’universo Fininvest–Berlusconi e una Procura sempre molto attiva.

Il segreto? Un approccio fondato su una collaborazione stretta con la Procura: sull’istituzione dei Patti di integrità (clausole negli appalti pubblici che permisero di escludere oltre 600 aziende sospettate di collusioni e pratiche scorrette dal mercato degli appalti cittadini) e infine una struttura autonoma capace di valutare economicità e onestà delle scelte amministrative in piena indipendenza e senza preavviso, agendo da vero e proprio organo ispettivo interno.

Albertini sottolinea come questi strumenti abbiano garantito la qualità e la quantità degli investimenti pubblici e privati: “Abbiamo raggiunto il record di investimenti nella storia di Milano, senza un solo avviso di garanzia.”

Il nodo cruciale, per l’ex sindaco, rimane trovare un equilibrio tra l’esigenza di avere nella pubblica amministrazione competenze elevate (spesso provenienti dal mondo delle professioni) e il rischio di conflitto d’interessi. Albertini critica la posizione radicale dell’“uno vale uno”, che sacrifica la professionalità sull’altare di una presunta purezza, e suggerisce invece valorizzare le competenze, vigilando sulla trasparenza e pretendere che le situazioni di potenziale conflitto siano dichiarate e gestite ex ante. Un parallelo viene fatto con la magistratura: anche qui il rispetto per le regole di incompatibilità è un presidio minimo di legalità. La sua esperienza di governo cittadino dimostra che il controllo preventivo, la dichiarazione delle situazioni a rischio e la competenza sono le basi per una buona amministrazione.

Albertini richiama inoltre la necessità di riformare il quadro normativo, spesso vetusto (come nel caso delle leggi sulla ristrutturazione urbana risalenti agli anni ’40), e denuncia l’onnipotenza irresponsabile di una parte della magistratura, chiedendo una migliore definizione delle responsabilità e dei ruoli in una società moderna.

L’ex sindaco conclude lanciando la provocazione di adottare un vero e proprio “statuto Albertini”, come modello operativo per prevenire i vizi e i pasticci della politica negli appalti pubblici: basato su prevenzione, alleanza virtuosa tra amministrazione e forze dell’ordine, auditing interno, trasparenza e investimenti orientati al merito e al miglior rapporto qualità–prezzo. Un punto di riferimento per tutte le amministrazioni che affrontano oggi i nuovi rischi di legalità e rallentamenti burocratici.

Per imprenditori, amministratori e professionisti, il caso Albertini resta un punto di domanda e di sprone: quale amministrazione vogliamo per le nostre città? Quella che previene i rischi o quella che si limita a gestire le emergenze? Il messaggio finale è chiaro: il futuro della città e la fiducia nelle istituzioni passano dalla qualità delle regole e delle persone che le applicano, dalla trasparenza e dalla professionalità, non dalla ricorrenza degli scandali.

Albertini, “cosa dovrebbe fare Beppe Sala”: lezione dell’ex sindaco (LIBERO QUOTIDIANO – 19 Luglio 2025)

Gabriele Albertini, l’ex sindaco di Milano Albertini, ha due virtù che al giorno d’oggi sono rarissime: è una persona che ti lascia finire di porre una domanda prima di rispondere ed è un granitico garantista. Non lo smuovi, non gli fai cambiare idea: «Beppe Sala dovrebbe dimettersi solo perché è indagato in quella che adesso è la maxi-inchiesta sull’urbanistica milanese ma un domani chissà come finirà? Assolutamente no, convintissimamente no», dice. «Quando ero senatore mi sono occupato del disegno di legge sull’ingiusta imputazione proprio perché io stesso sono stato ingiustamente imputato per calunnia aggravata per aver segnalato, ai titolari dell’azione disciplinare, le scorrette disdicevoli condotte proprio di un pm della procura milanese: mi sono fatto diciassette udienze. Non si scherza su queste cose».

Dottor Albertini, non deve convincere me. A proposito, poi come è andata?
«Sono stato dichiarato innocente sul piano penale, però ho pagato lo stesso».

In che senso?
«Nel senso letterale. Il mio avvocato era un amico, mi ha fatto lo sconto: ma la parcella me l’ha presentata lo stesso. È allora che mi è venuta l’idea di scrivere una norma a riguardo. Se vieni riconosciuto innocente con formula piena perché devi subire un danno economico? Ma lo sa qual è l’aspetto più grave?»

Quale?
«All’anno ci sono oltre 90mila innocenti da ingiuste imputazioni. E se sono così tanti è possibile, secondo lei, che un presidente di regione, un ministro, un sindaco o chiunque sia stato eletto dai cittadini, perla sola opinione di un paio di pubblici ministeri che saranno pure persone degnissime e nessuno lo mette in dubbio, sia costretto a fare un passo indietro?».

Eppure anche una certa sinistra forcaiola grida alle dimissioni di Sala.
«I Cinque stelle sono anime perse, non tocchiamo neanche la corda. Ciò che mi ha sconcertato, semmai, è che questa linea d’azione sia stata portata avanti da alcuni esponenti del partito dell’attuale ministro della Giustizia che io considero il miglior Guardasigilli della Repubblica».

La premier Meloni ha detto chiaro che “un avviso di garanzia non può portare alle dimissioni”.
«Mi fa piacere. Il suo governo sta sviluppando un’ottima riforma della Giustizia in direzione garantista: considero un’assurdità, quantomeno una contraddizione incredibile, chi oggi sostiene le dimissioni di Sala».

Senta, ma lei come c’è riuscito? Voglio dire, la “Milano di Albertini” di cantieri ne ha aperti più di quelli che ci sono oggi. Eppure di grane, da quel lato, non ne ha avuta manco mezza…
«Nei miei due mandati abbiamo speso in opere pubbliche più di qualsiasi altra amministrazione precedente e successiva, oltre sei miliardi di euro, e abbiamo fatto arrivare più di 30 miliardi di capitali dal mondo. E sì, non abbiamo avuto un avviso di garanzia. Siamo stati fortunati o c’è stata una differenza di condotta?
In tutta modestia non posso dire che non propenda per la seconda ipotesi. Guardi, il primo giorno che ho passato a Palazzo Marino ho incontrato l’allora procuratore capo Borrelli e non mi sono fatto problemi a chiedergli aiuto. Gli ho detto: “Non ci conosciamo, però io vorrei rigenerare la città e desidero che ciò avvenga senza che lei debba lavorarci, mettiamoci d’accordo”».

Non le domando se ha funzionato perché è sotto gli occhi di tutti.
«Sa che cosa mi disse Hines quando, dopo aver investito due miliardi e mezzo, gli chiesi come mai l’avessi fatto? Mi disse: “Perché ci siamo informati e non c’è un cartaro nella sua amministrazione”. La legalità è un modo per fare arrivare i capitali. Intendiamoci, non sto giudicando questa amministrazione per la sua, diciamo così, disinvoltura».

A giudicare, semmai si arriverà al punto, sarà la magistratura. Tuttavia la politica è fatta anche d’altro. Sala fa bene a restare dov’è, ma con le condizioni che si sono create è davvero in grado di governare la prima città produttiva d’Italia?
«Questa è l’altra faccia del problema, è vero. Se scatta la gogna mediatica diventa difficile, soprattutto se mina la coesione della sua maggioranza e lo fa diventare una lame duck, un’anatra zoppa, come dicono gli americani. In questo scenario sì, potrebbe essere opportuno valutare le dimissioni. Ma mai in relazione a un mero avviso di garanzia, semplicemente perché le condizioni quadro diventano insufficienti per poter svolgere il mandato».

E il centrodestra cosa deve fare? Come fa a prepararsi per l’appuntamento elettorale che magari non sarà anticipato, ma il 2027 è dietro l’angolo?
«La prima responsabilità di questa amministrazione è stata schierarsi su posizioni verdi talebane. In particolare contro con le auto, mettendo mille vincoli a chi giuda. Io stesso ho dovuto prendere una Pandina hybrid. Avevo la vecchia 4×4 Euro 5 diesel, a Milano non potevo più girare. Per me non è stato un problema, ma il pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese come fa? E chi lavora? Tra l’altro i trasporti sono responsabili per il 21% dell’inquinamento. L’autotrazione vale il 45% di questo 21%, ma di cosa stiamo parlando?».

Faccio l’avvocato del diavolo: quello che dice è verissimo, ma è verissimo anche che un milanese su tre viaggia regolarmente in bicicletta perché gli piace, perché è ecologico, perché son fatti suoi. Ignorarlo, ai fini elettorali, non è controproducente?
«Montanelli una volta mi ha definito “uno che non ha l’uzzolo del potere”. Di questi calcoli non ne faccio. Faccio delle scelte e le faccio sulla base del buon senso. Se riguardasse me farei una campagna elettorale sulla razionalità. Sul piano logico, negli ultimi anni, si è buttato tempo e si sono buttati un miliardo e mezzo di euro in capitali privati che avrebbero potuto rigenerare, per esempio, l’area di San Siro. Basta a convincere chi vota? Vedremo, certo molto dipende anche dal candidato del centrosinistra: sfidare Mario Calabresi è una cosa, sfidare Pierfrancesco Majorino un’altra».

La domanda da un milione di dollari. Anzi, no: guardi che io non ce l’ho un milione di dollari da darle. Se chiedessero a lei di riprendere la fascia tricolore?
«Facciamo che se ci fossero 100mila milanesi che me lo chiedono potrei prendere in considerazione l’idea di convincere mia moglie a non opporsi. È una battuta anche la mia, a scanso di equivoci».

 

Gabriele Albertini, l’ex sindaco di Milano compie 75 anni: la sua storia politica. (Sky Tg24 – 06 Luglio 2025)

 

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È stato imprenditore nel settore dell’alluminio e presidente di Federmeccanica. Nel 1997 è diventato primo cittadino di Milano per il Polo delle Libertà, incarico che ha conservato per due mandati. Europarlamentare per due legislature, nel 2013 si è candidato per la Regione Lombardia arrivando quarto.

  • Compie oggi 75 anni Gabriele Albertini, il politico nato a Milano il 6 luglio 1950. Dopo la laurea in giurisprudenza guida insieme al fratello Carlo la “Cesare Albertini S.p.A”, impresa di famiglia fondata dal padre Cesare negli anni Trenta e specializzata in pressofusioni in alluminio
  • Dopo vari incarichi ricoperti in Confindustria e Assolombarda, nel 1996 l’industriale meneghino viene eletto presidente di Federmeccanica, incarico che anticipa di pochi mesi la sua discesa in politica. L’allora leader di Forza Italia Silvio Berlusconi lancia la sua candidatura a sindaco di Milano per il Polo delle Libertà. Alle elezioni del 1997 Albertini batte l’uscente Marco Formentini (Lega) e vince col 53,1% al ballottaggio contro Aldo Fumagalli dell’Ulivo
  • Durante il mandato a Palazzo Marino, Albertini si definisce l'”amministratore di condominio” della metropoli lombarda che tra fine anni Novanta e i primi anni Duemila conosce una fase di forte trasformazione, a partire dalla riqualificazione dell’ex polo fieristico, del quartiere Porta Nuova e di Rho-Fiera Milano. Nella primavera 2001 viene riconfermato per un secondo mandato sconfiggendo al primo turno col 57,4% Sandro Antoniazzi del centro-sinistra
  • Durante il secondo mandato, Albertini viene nominato commissario straordinario per il sistema di depurazione delle acque della città e per il traffico in una Milano che fa i conti con livelli emergenziali di smog. Sul fronte della mobilità promuove l’estensione dei parcheggi sotterranei e il potenziamento della metropolitana in accordo con l’allora presidente della Regione Roberto Formigoni
  • Da sindaco Albertini si fa promotore di una campagna contro il fumo e di iniziative in prima linea come quando nel 2003 si è tuffato in piscina in risposta alle critiche sugli impianti rimasti chiusi troppo a lungo. Nel 2005 nega il patrocinio del Comune al gay pride innescando dimostrazioni di attivisti sotto Palazzo Marino
  • Al termine del secondo mandato a Palazzo Marino, segnato anche da gravi fatti di cronaca come l’incidente all’aeroporto di Linate dell’ottobre 2001 e lo schianto di un aereo sul Pirellone nel 2002, Albertini sostiene la candidatura dell’allora ministra dell’Istruzione Letizia Moratti. Sono anni in cui viene aperto il dossier per la candidatura di Milano per l’Expo 2015, finalizzata nel 2008
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“Dei tre cavalli che corrono per Palazzo Marino, Albertini sembra il meno interessato alla gara. Mi ricorda Ribot, che a prima vista nessuno avrebbe dato come vincente, non avendo l’aspetto del grande galoppatore di classe; che quando veniva accompagnato al paddock per essere mostrato al pubblico osannante e girava con gli altri cavalli si vedeva chiaramente che era infastidito da tanto clamore e da tanta attenzione. Ribot appariva quasi neghittoso e mostrava una certa insofferenza per questa esibizione. Poi scendeva sulla pista, correva da par suo, vinceva con tre lunghezze di distanza e se ne andava ancora più seccato di prima tra le acclamazioni della folla” Indro Montanelli (maggio 1997)

“Quest’uomo dall’apparente remissività, persino umile, che mai alzerebbe la voce o pesterebbe il pugno sul tavolo, di un’ingenuità quasi fanciullesca – ricordate quando si mise in mutande alla sfilata di Valentino? – è un duro che si spezza ma non si piega né tanto meno si impiega” Indro Montanelli (aprile 2001)

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