
La risposta per chi conosce anche solo superficialmente Gabriele Albertini poteva essere solo una. Un rifiuto garbato nei toni, duro nei contenuti. Niente cena informale a Roma a Villa
Abamelech, sede dell’ambasciatore russo in Italia, Alexey Paramonov.
Un invito rivolto all’ex sindaco in qualità di cavaliere dell’Ordine dell’Amicizia, l’onorificenza della Federazione Russa conferita a cittadini russi e stranieri «al merito del rafforzamento della pace, amicizia, cooperazione e comprensione reciproca tra i popoli». Un rapporto che viene da lontano. Da quando nel 2000 nella Sala del Conservatorio di Mosca, al termine del concerto della
Filarmonica diretta da Riccardo Muti, il neoeletto presidente Putin, invitò Albertini nel retropalco.
Non senza qualche brivido. «Lo sguardo gelido e impenetrabile» ricorda l’ex sindaco nel suo libro di memorie. Che si scioglie quando Albertini offre all’ex Kgb uno stabile del Comune in pieno centro per ospitare una fondazione che avesse il compito di dare rappresentanza all’economia russa.
È l’inizio di una relazione che si concretizza pochi giorni dopo. Come prima visita ufficiale Putin sceglie proprio Milano governata dal centrodestra, non senza qualche contraccolpo visto che al governo c’era il centrosinistra e Putin ancor prima di incontrare Prodi sceglie il sindaco di Milano. «Fui, del tutto immeritatamente, il precursore di quella che divenne un’amicizia personale e un proficuo rapporto di stretta collaborazione tra il presidente Putin, il presidente Berlusconi e i nostri due Paesi» scrive Albertini all’ambasciatore.
Altri tempi, altre condizioni. Altro mondo.
«Ora si frappone tra noi e la nostra amicizia, l’invasione dell’Ucraina, condannata da 141 Paesi su 193 aderenti all’Onu, il sostegno di 30 Stati con armamenti e aiuti umanitari alla Nazione invasa, richiamandosi all’articolo 51 dello Statuto, al “diritto naturale di autotutela individuale e collettiva” per resistere all’aggressione e difendere la propria integrità territoriale. Da queste premesse, con molto rammarico, non mi sento di accettare il suo cortesissimo invito»
Maurizio Giannattasio