Il Trattato di Lisbona ha introdotto la figura dell’Alto Rappresentante e Vicepresidente della Commissione Europea ed il Servizio di azione Esterna dell’UE con lo scopo preciso di migliorare l’impatto, la visibilità e la coerenza della politica estera europea.
Più volte l’Europa è stata definita come un gigante economico ed un nano politico. Questo perché, a fronte di tutti i primati di cui gode – prima potenza commerciale del mondo, primo donatore ai Paesi in via di sviluppo, punto di riferimento globale in materia di diritti umani, democrazia e stabilità – l’Europa è sempre rimasta un interlocutore debole sulla scena internazionale. Tale debolezza è la diretta conseguenza di una sovrastruttura organizzativa ed una duplicazione delle competenze: da una parte c’è la voce dei vari governi degli Stati membri, in seno al Consiglio dell’Unione Europea, dall’altra le diverse delegazioni della Commissione europea nel mondo. Da qui la confusione: qual è la voce ultima dell’Europa? Senza organicità non c’è un’azione coerente ed efficace.
Il nuovo corpo diplomatico (SEAE) è nato con l’obbiettivo di riunire le funzioni di politica estera e di sicurezza, proprie dei governi, e gli ambiti di politica comunitaria, afferenti alla Commissione (allargamento, sviluppo, aiuti umanitari). Come realizzare la fusione? Nella pratica i circa 130 uffici nei 5 continenti -le delegazioni della Commissione nel mondo- verrebbero a fondersi con i vari uffici del Consiglio (circa 5.000 persone) per creare le ‘Ambasciate dell’UE” gestite dal personale del nuovo Servizio di Azione esterna, sotto il comando dell’Alto Rappresentante.
Se si considera che il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1° dicembre 2009, sono mesi che in Europa sono accese le trattative tra Commissione, Consiglio e Parlamento su come realizzare il Servizio diplomatico, previsto dal trattato stesso. Il Parlamento – il cui potere in materia è obbligatorio e vincolante – ha subordinato l’approvazione del progetto di Commissione e Consiglio, a diverse condizioni, confluite nel testo della ‘Relazione Brok’. Dai lunghi negoziati con il Parlamento, si è giunti ad un accordo definitivo, che è stato votato questa settimana in Sessione Plenaria di Strasburgo.
La Commissione Affari Esteri che presiedo è stata il punto di riferimento diretto nei rapporti tra la Commissione, con l’Alto Rappresentante Catherine Ashton, ed il Parlamento e nei mesi passati ha condotto le audizioni dei membri designati dalla Ashton, a ricoprire i ruoli di rilievo nel Nuovo copro diplomatico.
In questo lungo processo di riconfigurazione della Politica Estera europea e nell’ultimo voto di giovedì in Plenaria, possiamo affermare che il Parlamento Europeo ne sia uscito con successo: abbiamo ottenuto sostanziali risultati, riaffermando il nostro ruolo politico di controllo.
Le complessità che ho riscontrato sono di diversa natura.
Se è vero come è vero, che il Nuovo corpo diplomatico riassuma il sostanziale scopo del Trattato di Lisbona: un maggiore peso politico dell’Europa, la sua costituzione deve essere pensata per realizzare al meglio tale obbiettivo, specialmente sul versante strutturale. Da ciò ne deriva che Commissione, Consiglio e Stati Membri debbano essere disposti a sacrificare parte delle rispettive competenze di politica Estera al fine di investire nell’Europa e nel nuovo organo comunitario. Di contro, le distinte attribuzioni che vengono a buon diritto conservate distintamente – ad esempio per la Commissione i poteri in materia di allargamento, sviluppo, aiuti umanitari.. – devono essere correttamente coordinate al fine di evitare sovrapposizioni, duplicazione degli sforzi e di realizzare tagli per costi inutili.
Un altro versante che come Presidente di Commissione Esteri ho voluto difendere è relativo la composizione del personale del SEAE. Il reclutamento deve avvenire sulla base di criteri che rispettino l’adeguato equilibrio geografico e di genere: i singoli Stati, in misura proporzionale, saranno rappresentati da un numero significativo di cittadini e che verrà corretto a fronte del verificarsi di eventuali squilibri. Il progetto europeo infatti mira sempre ad una miglioria delle condizioni degli stati membri non già alla loro castrazione. Così il 60% del personale SEAE sarà composto da funzionari dell’Unione per garantire l’identità comunitaria del servizio ed il restante 40% sarà costituito da funzionari dei servizi diplomatici nazionali.
Ultimo ma non meno importante, il Parlamento con il voto di giovedì, ha rimarcato il proprio potere politico di controllo e di bilancio, nel nuovo Corpo Diplomatico: non va dimenticato che il Parlamento è l’unico organo in Europa ad essere democraticamente eletto con voto diretto dai cittadini.